Racalmuto

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“Lei è di Racalmuto? Il paese di Sciascia?”. Quante volte negli anni mi è accaduto di sentirmi rivolgere questa domanda.
Un po’ di geografia, innanzitutto. Racalmuto è un paese di novemila abitanti dell’entroterra siculo, a venticinque chilometri da Agrigento. Terra di agricoltura e di miniere di salgemma e di zolfo, Racalmuto è la Sicilia più vera e più dura. Nulla a che vedere con quella un po’ oleografica di Andrea Camilleri e del suo commissario Montalbano. Questa è Sicilia aspra, Sicilia dove d’inverno fa freddo. Questo è il paese dove sono nato e dove ho vissuti i primi dieci anni della mia vita. Il paese di Leonardo Sciascia.
Dopo l’infanzia, mi sono trasferito a Sciacca, ottanta chilometri di distanza, ma un’altra Sicilia quasi. Cittadina più grande, spumeggiante, sul mare, spagnoleggiante direi. E dopo il Liceo classico, il grande salto. Milano, l’università Bocconi, il Nord che mi sembrava così lontano e differente, l’ambizione di poter realizzare i propri sogni. Sì, perché dovete immaginarla quella Sicilia, la Sicilia degli anni Settanta, dove la palude della sottocultura clientelare e mafiosa era ancora più asfissiante e radicata… Tanto rispetto per chi aveva voglia di rimanerci, ma, l’avete già capito, quel mondo cominciava a starmi un po’ stretto.
A Milano, però, il vostro candidato si rende conto ben presto che la corruzione, il clientelismo, la mafia non sono un affare solo siciliano e che i legami tra certi ceti politici e le organizzazioni criminali non conoscono steccati, non hanno limitazioni geografiche. È proprio l’impegno contro il malaffare e la mala politica che mi porta, qualche anno dopo, al circolo Società Civile e da lì nella redazione del glorioso mensile omonimo.
È in questa veste che si consuma lo strappo ideale tra me e il mio più illustre concittadino, il grande scrittore e intellettuale. Erano i tempi della nota polemica sui “professionisti dell’antimafia”, nata appunto da un articolo di Sciascia sul “Corriere della Sera”. E che proprio il Grande Scrittore che aveva contribuito a far crescere la coscienza civile di generazioni di giovani siciliani fornisse supporto ideologico (volente o nolente) alla “palude”, mi sembrava intollerabile.
Debbo dire che il Grande Racalmutese, in realtà, l’ho incontrato solo un paio di volte e proprio a Milano, partecipando, giovane timoroso, a casa di comuni conoscenze, a serate conviviali a cui partecipavano anche persone del calibro di Vincenzo Consolo.
Chiacchiere a volte accalorate, con Sciascia, con gli occhi a fessura e la perenne sigaretta in mano, che classificava i fatti spesso solo con un profondo “si capisce” o “ non si capisce”.
Col tempo mi sono riappropriato del mio rapporto con Sciascia, con Racalmuto, con la Sicilia: fanno parte di me intensamente, intimamente e mi piace tornare, ritrovare odori, sapori, colori.
L’anno scorso il consiglio comunale di Racalmuto è stato sciolto per mafia e poco dopo la giunta regionale lombarda è caduta, travolta dagli scandali e dai rapporti con la criminalità organizzata. Ecco perché credo che io, siciliano che ha vissuto la gran parte dell’esistenza a Milano, candidandomi in Lombardia possa continuare con coerenza il percorso di una vita.

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