LA STORIA VERA DELLE PRIMARIE A MILANO // DIBATTITI, DUELLI E TRIELLI

duello

E’ che uno dei candidati disse all’altro candidato: “Facciamo un dibattito?”. E l’altro disse: “Si”.
Poi però quando ci fu il dibattito tra l’un candidato e l’altro candidato, la nuova candidata (perché nel frattempo ce n’era una nuova, di candidata) disse: “Scostumati, e a me perché non mi avete invitato a dibattere?”.
E l’un candidato ci rispose: “Ma quando io avevo invitato lui a fare il dibattito tu non eri candidata!”. E poi il candidato propose alla candidata: “Lo vuoi fare anche tu il dibattito con me?”.
E lei ci rispose: “No, adesso non lo faccio più il dibattito con te, al massimo faccio un dibattito con tutti e due, ma con te da solo no, non lo faccio”.
E poi però nel frattempo c’era in programma un altro dibattito in cui avrebbero dibattuto l’un candidato e la candidata. E non avevano invitato l’altro candidato però. E a questo dibattito – che alcune genti che sanno le cose dicevano che sarebbe stato assai très chic, alcune altre genti che ne sanno sempre di più invece che era un trappolone – avevano invitato anche il futuro ex sindaco. E non si sapeva come l’avrebbe presa l’altro candidato, che non lo avevano invitato.

[continua…]

LA STORIA VERA DELLE PRIMARIE A MILANO

 

sean-penn-this-must-be-the-place-piccolaE’ che c’è uno che era sindaco e che fece un libro dove disse a sorpresa che non lo voleva fare più il sindaco e che i suoi assessori non è che erano poi ‘sto granché.
E allora però uno degli assessori del futuro ex sindaco si candidò e anche un altro – che non era assessore, ma che importa – si candidò ma disse che poteva anche non candidarsi.
Ma da Roma dissero che non c’era bisogno di perdere tempo con i balletti che c’era già uno bravo che aveva fatto delle cose talmente belle che la gente faceva le file per andarle a vedere.
E il futuro ex sindaco fece capire che a lui andava bene quello delle file o comunque non gliene fregava niente. Ma poi le genti ci dissero all’ex futuro sindaco: “Ma come?”. E il futuro ex sindaco ci ripensò. E disse che lui in verità ci aveva una vicesindaca assai brava (un’altra, una nuova, che con la prima vicesindaca si era sfanculato per una storia di cani o per altro, non si sa bene).
E la portò pure a Roma per farla conoscere a quelli di Roma, la nuova vicesindaca, la portò. Ma dopo poco disse, il futuro ex sindaco, che lui in realtà non appoggiava nessuno e che gli piacevano tutti e tutte.
E allora tanti cominciarono a dire all’assessore che si era candidato: “Ma visto che c’è la vicesindaca nuova del futuro ex sindaco perché non ti ritiri?”.
E gli spiegavano i tanti all’assessore che se si giocava a tre vinceva uno, se si giocava in due, vinceva o l’uno o l’altro. E l’assessore non capiva, e in ogni caso gli pareva ‘na fregatura comunque che era lui quello che si ritirava, quello che sicuramente perdeva senza neanche giocare.
Ma a quel punto l’ex vicesindaca (quella dei cani) disse che anche se l’assessore gli stava sul gozzo da sempre se lo facevano ritirare si sarebbe candidata lei, perché non era giusto che gli dicevano di ritirarsi. E comunque –diceva – a tre o a quattro o a cinque il gioco è più bello che a due. E a lei interessava che il gioco fosse divertente, mica di vincere lei.
E poi ci sono anche altre cose. Come la vicenda dell’ex aspirante governatore anti barbari che forse sperava che il sindaco era amico o forse no.
Come finì la storia non si sa ancora. Si sa solo che sono in tanti lì pronti a dire: “L’avevo detto io”. Dopo. Alla fine. A prescindere.

[continua…]

[Al bar – gli avventori più informati – la raccontano più o meno così. Con buona pace di Opinionisti Intelligenti e Raffinati Politologi]

DIECI BUONI PROPOSITI PER IL NUOVO ANNO

capelli 3

1. Dedicare più attenzione alle ragioni degli altri

2. Essere meno tollerante con gli arroganti

3. Dormire un po’ di più e comunque dedicare più tempo all’otium

4. Evitare di sopravvalutare alcune cose o persone

5. Evitare di sottovalutare alcune cose o persone

6. Dedicare più tempo alla lettura dei “Classici”

7. Dedicare più tempo alle riletture di quello che si è amato nel passato

8. Evitare di pensare troppo spesso “l’avevo detto io”

9. Ricordare che la coerenza è un valore ma il cambiamento è una necessità

10. Ricordarsi di fare le cose importanti con il sorriso sulle labbra

Un augurio per un anno sereno a tutti!

Ma come si può votare PD?

na

«Mais, si quelqu’un par hasard apprenait à la compagnie que j’étais Persan, j’entendais aussitôt autour de moi un bourdonnement: «Ah! ah! monsieur est Persan? C’est une chose bien extraordinaire! Comment peut-on être Persan?» (Montesquieu, Lettres persanes, XXX)

Mi veniva in mente in questo brano riportato da Leonardo Sciascia in “Come si può essere siciliani?” (pubblicato in Fatti diversi di storia letteraria e civile, Sellerio, 1989). Scrive poi Sciascia: “«Ma se qualcuno, per caso, comunica alla compagnia che io sono siciliano, subito sento intorno a me levarsi un mormorio: “Ah! ah! Il signore è siciliano? È una cosa davvero straordinaria! Come si può essere siciliano?”» Per concludere: “Sicché alla domanda: «Come si può essere siciliano? » Un siciliano può rispondere: «Con difficoltà».”

Mi riecheggiano in mente quelle parole in questi giorni, quando amici raziocinati e persone perbene, parlando di imminenti elezioni, si chiedono e mi chiedono “ma come si può votare PD?”

Già, come si può votare PD? Con difficoltà e con fatica, mi verrebbe da rispondere. Con la fatica che comporta ogni scelta che deve mettere insieme testa e viscere, intelligenza e passione, pessimismo della ragione e ottimismo della volontà.

Sulle questione europee (già, si vota per l’Europa!) addirittura sorvolerei: Martin Schultz, candidato del PSE, ha tutti requisiti per essere un buon presidente della commissione europea. E in Italia il PSE è il PD (a proposito: qualcuno ha capito i grillini al Parlamento europeo in quale gruppo andranno a finire?).

Il fatto vero, che ingarbuglia tutto, è che questa tornata elettorale avrà una fortissima valenza nazionale.

E su questo che bisogna avere le idee chiare. E io le mie scelte le ho fatte.
Penso che il voto al PD oggi sia un voto NECESSARIO per chiudere definitivamente la stagione del berlusconismo e per arginare scenari incombenti confusi, pericolosi e gravidi di incertezze. Bisogna archiviare – finalmente – il nefasto Ventennio e bloccare, finché siamo in tempo, la nuova, inquietante ricerca dell’Uomo Forte, che, solo al comando, tutto sa, tutto risolve, e che trae la sua forza dal fatto che “le canta chiare”.

E alle obiezioni possibili, in anticipo, rispondo: il problema primario non è Matteo Renzi, reputo il “renzismo” una fase necessaria e transitoria; e il PD – con i suoi mille limiti – comunque rimane un partito plurale e “non proprietario”.

Voterò convinto quindi PD ed esprimerò le mie preferenze nel collegio Nord Ovest per i tre candidati di “area Civati”, componente che più nitidamente oggi mi sembra esprimere la voglia di scelte chiare su temi come, per fare qualche esempio, la difesa della Costituzione, le riforme istituzionali e del sistema elettorale, la doverosa chiusura della stagione delle larghe intese, i diritti civili, l’uguaglianza, i nuovi saperi, le tematiche ambientali.

Perché bisogna ricominciare a ricostruire, con tenacia, passione e intelligenza.

Perché un futuro, questo bizzarro e articolato Paese, dovrà pur averlo.
O no?

[lillo garlisi]

[le mie tre preferenze andranno a Briano, Sinigaglia, Viotti, candidati nella lista PD collegio Nord Ovest]

Stampa

“Non scherziamo” di Nando dalla Chiesa

na

Non scherziamo. Qui non si tratta di parteggiare per Lillo. Qui si tratta di avere parteggiato insieme a Lillo per una vita o quasi. Affrontando passaggi che richiedevano la massima riservatezza, perché siamo tutti e due della scuola che i veri antimafiosi sono più muti dei mafiosi. Buttandoci nella meravigliosa avventura di “Società civile”, circolo e mensile che negli anni Ottanta diedero una scossa a Milano, ormai sprofondata nelle dazioni ambientali e convinta che nessun magistrato l’avrebbe costretta al più antipatico dei risvegli. Fondando “Omicron”, l’osservatorio milanese sulla criminalità al Nord, negli anni Novanta, quando di ’ndrangheta non si parlava, troppo bello parlare di clandestini. Inventandoci Melampo negli anni Duemila, la casa editrice che senza un euro di commesse pubbliche ha costruito uno dei filoni più credibili in Italia di libri su mafia, corruzione, questione morale e giustizia. E allevando insieme decine di giovani con la voglia di raccontare la realtà e di non cedere al fascino delle carriere facili.
Abbiamo parteggiato, dunque. Ci hanno fatti incontrare, sia pure con qualche anno in meno a suo favore, la stessa allergia ai furbi e agli opportunisti, la stessa intolleranza radicale verso un nemico che ha sparso sangue e ingiustizia senza sosta, lo stesso amore per la fondazione di cose nuove, per l’intrapresa senza reti di protezione.
Credo che faremo altre cose nuove insieme. Intanto lui si candida ad andare con Umberto Ambrosoli nella Regione degli inquisiti per restituirle l’onore. Non ho bisogno che mi dica che cosa ci andrà a fare. Non voglio sapere il suo programma. Basta che si attenga ai principi che gli ho visto praticare per decenni. La cosa pubblica è la cosa pubblica e non si mette in tasca. La democrazia si difende, le istituzioni pure. I talenti hanno il diritto di esprimersi, nessuno può metter loro la camicia di forza di una burocrazia clientelare. I posti di responsabilità vanno ai più capaci e responsabili. L’ambiente e la bellezza non sono in vendita. E il pensiero pure. A voi ora questo libretto che sa di genio e di amicizia. E forza Lillo.

Dalla prefazione di Nando dalla Chiesa
a Stavoltà si di Lillo Garlisi

Stampa

Zero

Z

Ci sono dei momenti in cui diventa difficile pensare di poter aggiustare qua e là, di poter fare qualche ritocchino su pochi dettagli. Ci sono momenti in cui è da incoscienti pensare che sistemi che si sono perpetuati per tempi lunghissimi abbiano la possibilità di autoriformarsi.
Arriva il momento in cui è necessario ripartire da capo; azzerare e ripartire. L’anno zero della politica lombarda è la base per far crescere sano e forte il futuro della regione. Senza, tutto il resto rimane utopia.
Diciassette anni di potere formigoniano in Regione Lombardia non si tirano giù dall’oggi al domani. È tale l’apparato di interessi e affari, è così penetrato e ramificato il sistema delle amicizie e dei favori, che senza procedere con l’azzeramento rialzarsi e ricominciare può diventare una cosa complicata. Per risalire la china, quindi, il metodo non può che esser questo: cancellare e costruire di nuovo, secondo altre modalità, con altri obiettivi, soprattutto senza aver contratto debiti di nessun tipo.
In questo senso quindi Anno Zero: rifiuto totale di diciassette anni di errori e di connivenze, di inadeguatezze e di sotterfugi, questo deve essere il presupposto per ripartire.
Azzerare un così lungo periodo di inquinamento e di abuso politico parte certo dal voto alle urne, ma si traduce innanzitutto in alcune svolte radicali. L’elenco non può non prendere in considerazione temi come l’edilizia e le infrastrutture, l’ambiente, la scuola, le energie alternative.
La favola dell’eccellenza lombarda, tanto esaltata da Formigoni, nasconde crepe e distorsioni ineliminabili con semplici ritocchi qua e là. La sanità, vero e proprio fiore all’occhiello secondo il mantra formigoniano, ne è la vetrina principale. Un Anno Zero della politica regionale non è immaginabile se non si comincia a invertire lo spostamento di attenzioni e risorse avvenuto dal pubblico al privato, depotenziando il primo a favore del secondo. A questo si aggiungono gli scandali del San Raffaele e della Fondazione Maugeri. Ma anche, all’interno della sanità pubblica, la spartizione di potere condivisa tra Comunione e Liberazione e Lega Nord. Tutto questo con inefficienze e distorsioni compensate dai ticket sanitari: i cittadini lombardi pagano quelli più alti d’Italia. La sanità insomma deve ritornare a essere vista come servizio per salute del cittadino, e non come business.
Mi vengono in mente il Naviglio Pavese e il Naviglio Grande quando a Milano vengono prosciugati e sul fondo melmoso restano rifiuti e scarti di ogni tipo. L’anno zero della Regione Lombardia significa avere la possibilità di bonificare. Un anno zero che faccia anche piazza pulita di grandi bluff e di vuoti slogan che ci hanno costretto a rincorrere padanie, secessioni, barbari sognanti e corna celtiche.
Un intervento a tutto campo, attuato da una giunta e da un consiglio regionale finalmente liberi da ombre e compromessi, dove davvero le scelte siano ispirate dall’esperienza sul campo, dall’assenza di furberie. Anni di impegno nell’università, nel circolo e nel mensile “Società civile”, nel lavoro come manager e come editore mi hanno insegnato una progettualità che diventa concretezza. Ci vuole impegno e capacità di ascolto, voglia di capire e di apprendere. E naturalmente una quotidianità fatta di umiltà nel proprio lavoro. L’occasione è lì, il 24 e 25 febbraio. Usiamo il voto, la nostra capacità di scelta, per scegliere di cambiare. E scegliamo, scegliamo anche le persone giuste.

Valori

V

Forse la parola valori potrebbe essere, idealmente, l’indice di questo piccolo libro. E sicuramente è l’indice che raccoglie i “capitoli” che ho cercato di avere presenti nella mia vita di lavoratore e di padre. A volte, come tutti, facendo grande fatica. Altre volte in maniera più semplice. Ma sempre con la massima serenità, nella convinzione che non è importante solo quello che si fa, ma anche e soprattutto come lo si fa. Che il fine non giustifica i mezzi, se i mezzi sono quelli dell’ambiguità, del sotterfugio, della menzogna, della sopraffazione. E spero di non passare per idealista se dico che non è tutto uguale, che i percorsi si possono far crescere con dignità e che si possono fare promesse a noi stessi e poi cercare di mantenerle.
Come spero di poter tornare a vedere un Paese, e ancora prima una Regione, dove cala il morbo dell’indifferenza (ancora con il celebre passaggio gramsciano: “odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano”), dove finalmente si ricomincia a guardare alla politica come a qualcosa che si prende in carico la società e se ne occupa. Ma è chiaro che d’altra parte deve essere la politica a lanciare un segnale inconfondibile e poi a dargli seguito.
I valori in questione sono quindi tra le pagine di questo libro. A partire dalla A di Ambrosoli, che coincide con l’impegno politico diretto, e passando per il tema della legalità: la militanza in Società civile prima (alla lettera S) e in “Omicron” dopo (alla lettera O) rappresentano per me una volontà continuativa di agire contro il malaffare e la politica ridotta a terreno di scambio e di mercimonio, puro esercizio del potere al fine dell’arricchimento personale o di gruppo, a scapito dell’interesse collettivo. Nodi che si saldano e danno vita alla Questione morale (alla lettera Q), intesa ancora alla maniera di Berlinguer, vale a dire la moralità, il principale dei valori dispersi dalla politica arraffona segnata dal Berlusconismo, accompagnata da una vita privata inaccettabile per chi si propone come amministratore della cosa pubblica.
Ed è chiaro che su questi presupposti deve riposare la C di Cambiamento. A pensarci, è forse il valore meno palpabile e intellegibile, eppure quello che in assoluto vorrei mi appartenesse di più. Nel senso che desidero rimettermi in gioco, talvolta andando controcorrente, altre volte affiancando chi secondo me ha preso la direzione giusta, in ogni caso cercando di misurarmi in ambiti diversi e di influire sulle situazioni con cui vengo a contatto. Il che si può fare in cento modi diversi, il primo dei quali è rivendicare i propri diritti di cittadino e pretendere una democrazia che non sia parola vuota, ma un contenitore basato su principi non negoziabili. In fin dei conti, una cosa semplice: far valere le proprie idee. Perché valori è parente di valere, che significa proprio “avere un valore”. Senza questo tipo di inquadramento non solo è difficile tirare fuori la Regione dal pantano in cui è finita, ma anche trasmettere i valori di cui sopra alle nuove generazioni. Perché, ricordiamolo, i valori si trasmettono “raccontandoli”, ma soprattutto si trasmettono con l’esempio. E spesso, troppo spesso, la politica ha dato cattivi esempi.

Urna

U

Se penso all’urna elettorale, e alla croce che ciascun cittadino ha il diritto e dovere di segnare sulla scheda, mi viene in mente il momento del consenso informato, quello che ci viene chiesto quando abbiamo a che fare con gli ospedali e gli ospedali hanno bisogno da noi del via libera. Firmiamo, in genere senza sapere bene che cosa (e per che cosa), nonostante la posta in gioco non sia uno scherzo: si tratta della nostra salute.
Perché succede così? Quando va bene, perché ci fidiamo del personale sanitario. Quando va male perché, semplicemente, non siamo in grado di capire quello che c’è scritto nei fogli che ci vengono sottoposti. Non abbiamo le competenze, non siamo a nostro agio con le parole degli specialisti, non abbiamo la lucidità. E speriamo che tutto vada per il meglio, come del resto dovrebbe essere.
Allo stesso modo, per troppo tempo al momento dell’ingresso nella cabina elettorale e dell’accesso all’urna, è mancata la piena consapevolezza del peso della scelta, è rimasta fuori la partecipazione informata, ma informata davvero, cioè avendo capito tutti i termini della questione. Che nel caso delle elezioni è poi il vero senso del perché mettere una croce o scrivere un nome. Per troppo tempo l’urna elettorale ha rappresentato per molti un vuoto, qualcosa a cui non si riusciva a dare il giusto valore. Non un luogo decisivo per stabilire il destino dei cittadini, non un tempo cruciale dove tirare le somme per individuare chi ha fatto bene e chi ha fatto male. In quei pochi minuti, entrati in un non luogo e in un non tempo, non c’era la coscienza della posta in gioco. L’urna tanto per fare, oppure per fare qualcosa secondo comando.
È soprattutto dal 1995 che in Lombardia una mano invisibile accompagna tanti elettori al seggio, tra svogliatezza e diktat subiti. La scelta di molti è stata di turarsi il naso, a destra come a sinistra, a prescindere dalle qualità degli uomini e dalle cose fatte, buone o cattive che fossero. Penso a Comunione e Liberazione, che con Roberto Formigoni e i suoi fidi ha sempre tracciato la linea da seguire e imposto le persone da votare: in funzione della fedeltà cieca verso una comunità, indipendentemente dai comportamenti. Non ha contato la qualità dei candidati ma l’appartenenza al gruppo. E oggi più che mai i risultati politici e giudiziari in Regione sono sotto gli occhi di tutti.
Penso poi all’indifferenza dei tanti altri cittadini che in passato si sono accontentati. Senza star troppo lì, una croce e via. Oppure a quelli che all’urna hanno rinunciato vista la dubbia caratura politica, l’inconsistente opportunismo o l’anonimato di certi candidati, a destra così come a sinistra. E ancora alle degenerazioni dei voti comprati dalla ’ndrangheta, le truppe cammellate che con i soldi in tasca hanno appoggiato questo o quell’aspirante consigliere corrotto.
Ma così non va. Se penso all’urna, oggi, voglio poter pensare alla democrazia come partecipazione, parafrasando Giorgio Gaber che cantava di libertà. Se penso all’urna, voglio vederci il vero e unico strumento in mano a tutti noi per prendere la mira e non sbagliare il colpo. Perché non si può sempre dire, dopo, che i candidati eletti sono stati un errore, che le loro scelte politiche non sono le nostre, quelle almeno che pensavamo fossero in base alle promesse fatte.
Questo vale soprattutto per elezioni come le regionali: in questo caso non c’è l’orrendo porcellum che alle Camere o al Senato costringe a votare “solo” il partito o lo schieramento a noi meno lontano. Le elezioni regionali permettono di usare la preferenza, di indicare un nome: perché non usarla, visto che ci è consentito anche di scegliere la persona?

Talenti

T

Da qualche anno a questa parte in Italia la parola talento si impiega soprattutto in due ambiti. Da un lato ci sono i talent show, cioè quei format televisivi in cui ragazzi che hanno buone attitudini artistiche (nel canto, nella recitazione, nel ballo, nel suonare uno strumento e così via) vengono messi alla prova per affinare la loro predisposizione e farla diventare, magari, un’occupazione lavorativa. Dall’altro c’è l’ambiente delle aziende. Lì il talento non è una cosa poi diversa: è il termine con cui si indicano le potenzialità non solo di fare carriera, ma di esprimere quella carica di innovazione unita a una certa capacità di leadership che sono merce rara e preziosa. Sono, in sintesi, i più bravi, i migliori, quelli dei quali c’è ancor più bisogno, visto che nel frattempo il mondo si è fatto più difficile o, se preferite il gergo aziendale, il contesto è diventato molto più competitivo.
Insomma, qualsiasi sia l’ambito, è chiaro di cosa stiamo parlando: di una buona base di partenza, delle carte in regola per poter compiere il proprio percorso in maniera soddisfacente. Una buona base di partenza. Qualcosa che di per sé è una lieta notizia, certo, ma che allo stesso tempo non basta. Perché questi giovani per affermarsi ed esprimere al meglio le proprie capacità hanno bisogno di un ambiente che li stimoli e che inoltre dia spazio al merito e alla capacità. Altrimenti il talento avvizzisce, non porta vantaggi né a chi ce l’ha, né a chi gli è attorno. E finisce per venarsi di frustrazione.
La Regione ha, tra i suoi obiettivi, quello di favorire negli ambiti pubblici di sua competenza un “habitat” favorevole al talento. Il che non è successo come doveva, negli ultimi diciassette anni. E senza la cura dei talenti non c’è sviluppo. Si pensi, per fare un banale esempio, alla sanità lombarda. Se, come sappiamo, durante il potere formigoniano è stato costruito un sistema basato sulla fedeltà al Celeste e sull’appartenenza a cerchie ristrette all’interno di Comunione e Liberazione, viene da pensare che quei talenti che non facevano parte di un certo gruppo hanno dovuto andarsene oppure languono da qualche parte, in attesa che qualcosa cambi.
E se è vero che adesso il candidato è Maroni, dietro di lui ci potrebbe essere esattamente lo stesso gruppo di prima. Perché quella di Maroni è una candidatura nel segno della continuità. Chi ha appoggiato Formigoni avrà vita facile a cambiare casacca.
Quello che è necessario non è uno spoil system indiscriminato, ma liberare il campo da chi quella carriera non l’ha meritata, dando ora ai migliori l’opportunità di farsi valere. Lo sappiamo che la sanità lombarda vanta un buon livello (anche se la domanda dovrebbe essere: per chi? Quanto differisce l’esperienza di chi può pagare da quella di chi passa attraverso lo sportello pubblico, pur nello stesso ospedale?), ma sappiamo benissimo che si può fare di più perché fino a oggi hanno contato troppo la fedeltà e l’appartenenza.
La Lombardia è la regione guida di questo Paese, ma deve esserlo non solo per il Pil. Deve esserlo anche dal punto della gestione della cosa pubblica. Per questo è importante votare la lista Ambrosoli, che dietro di sé non ha un gruppo di potere, ma la voglia di riportare pulizia e legalità nell’amministrazione di una regione in cui troppo a lungo si è trascurato il merito. Che è poi un altro modo di combattere le ingerenze di poteri altri dentro la cosa pubblica. Poteri che hanno trovato casa al Pirellone come non deve mai più accadere.
Di una cosa dobbiamo essere convinti: la cura dei talenti e la difesa dei più deboli e degli svantaggiati devono essere le due facce della stessa medaglia, debbono viaggiare di pari passo, se vogliamo che l’Istituzione sia veramente al servizio del cittadino.

Società civile

S

La Milano del 1985, ricordo, stava ricominciando a respirare dopo gli anni più tetri del terrorismo, ma una diversa cappa le impediva di sprigionare tutte le sue energie di capitale, economica e morale.
Quanti di noi si accorgevano di come la prassi cinica e scostumata con cui veniva condotta la lotta politica stava allontanando gli amministratori dai problemi dei cittadini? Quanti di noi percepivano una democrazia sempre più svuotata dei suoi valori e dei suoi principi costitutivi, a favore di un sistema con poteri ferrei e deboli contropoteri? Io di certo sentivo ristretti i miei diritti di cittadino, frustrate le aspirazioni a far valere le mie idee, trascurato l’entusiasmo che avrei voluto impiegare nel tentativo di far crescere sane, aperte, pulite forme di convivenza.
Per questo quell’autunno del 1985 in cui germogliò il Circolo Società Civile per me fu una specie di primavera. Avevo capito subito che da Nando dalla Chiesa e dai 100 fondatori (una ben strana compagine di magistrati come Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, giornalisti come Corrado Stajano, Camilla Cederna, Giampaolo Pansa, Carla Stampa, e poi sociologi e professori e manager, preti come Davide Maria Turoldo, e poi ancora insegnanti, operai, attori, persino un calciatore) non veniva il canto delle sirene del “qualunquismo”, del “giacobinismo”, dello “snobismo borghese”, come dicevano i politici di professione. No, non mi sono tappato le orecchie, anzi, mi sono rimboccato le maniche: eletto già nel primo consiglio direttivo (preferito io, studente della Bocconi, a un “professorone” della Bocconi), ho concorso al moltiplicarsi di incontri, convegni, seminari. Davvero “per dare voce alla società civile e fare più civile la società” (e mai slogan fu più aderente alle intenzioni!): fin dalla prima serata del 2 dicembre al Teatro Pier Lombardo, abbiamo portato centinaia di persone a parlare di giustizia, di angherie fiscali, di corruzione, della presa dei partiti sulle Municipalizzate, di uno sviluppo urbanistico viziato dall’interesse di pochi: chi possedeva aree edificabili e chi ci costruiva sopra il sistema delle mazzette. E anche di Milano come Palermo (“eresia!”, strillavano offesi quelli che stavano aprendo la porta agli affari della mafia).
Viene da lì una delle caratteristiche distintive della mia candidatura: la considerazione che ci sono battaglie che non possono essere “di parte”, che ci sono principi non negoziabili, che l’unione sui temi importanti deve andare oltre le meschine appartenenze di gruppo.
Poi è venuto il giornale, un mensile di inchieste e di opinioni. Rompemmo un tabù: «non si parla delle cose troppo lontane dal potere o di quelle vicine al potere e ai suoi misfatti». Per quasi dieci anni sul mensile “Società civile” ho tenuto una rubrica puntigliosa, faticosa, scomoda: “Diario milanese”, una costante rassegna dell’ignavia, delle magagne, delle ruberie della sconsolante Casta ambrosiana e dei suoi alleati sparsi nel mondo intellettuale, delle imprese, delle professioni.
Dei miei scritti, su Ligresti, sulla Lega, sulla mafia, tra le altre cose, o dei pezzi da “opinionista”, anche oggi sottoscriverei ogni riga. Perché mi accorgo che abbiamo detto tutto in anticipo e abbiamo contribuito in modo non secondario alla nascita e alla crescita della rivolta morale che accompagnò successivamente le fasi milanesi dell’inchiesta giudiziaria su Tangentopoli.
Ora che per la prima volta ho scelto un impegno politico diretto nella lista di Umberto Ambrosoli mi fa piacere ricordare che tra gli amici di Società civile ci sono stati anche sua madre Annalori e Silvio Novembre, il maresciallo della Finanza che fu al fianco di suo padre Giorgio nella coraggiosa, tragica partita contro Sindona e il malaffare.

Stampa